Matteo Volpati
Matteo Volpati scultore
La metamorfosi è un tema classico per eccellenza. Pensiamo per esempio alle meraviglie delle Metamorfosi di Ovidio, in cui uomini e donne erano trasformati in animali o vegetali per placare la furia degli dei, come punizione, oppure per salvarsi e fuggire da un pericolo. I miti sono stati splendidamente raffigurati nella storia dell’arte ed erano la materia prima sulla quale pittori e scultori esprimevano il loro estro. Anche le leggende annoverano numerose storie in cui uomini e animali sono indissolubilmente legati, ricordiamo le narrazioni sui vampiri o i lupi mannari, ancora così tanto attuali nella letteratura e nel cinema. Nel Novecento, La Metamorfosi di Kafka in cui il protagonista diventa un terribile scarafaggio, è stata l’angosciante rappresentazione della società moderna, spietata e alienante. Matteo Volpati, giovane artista e designer, sembra raccogliere e sintetizzare tutte queste suggestioni, per superarle e contaminarle col gioco postmoderno dei nostri giorni. Crea così enormi e pesanti sculture di legno e carta assemblata, eroici macigni della contemporaneità e del rapporto sempre più incerto e distruttivo che lega l’uomo alla natura. Volpati fa risorgere il Minotauro, gigantesco e possente, dal corpo umano ma dalla testa taurina; oppure fantastiche ibridazioni tra umanità e giraffe, rinoceronti, struzzi, leoni... è l’uomo che diventa animale, o l’animale che conquista la posizione eretta tarsformandosi sempre più nell’homo sapiens? Il dilemma è proposto con una certa ironia, come nel caso della Scimmia Bibliotecaria che porta gli occhiali e ha lo sguardo intelligente e curioso. La risposta dell’artista arriva pronta e chiara: Volpati vuole rappresentare l’essere perfetto, che fonde insieme l’anima animale e quella umana, sebbene la prima componente abbia la prevalenza, perchè è la parte che solitamente è maggiormente sacrificata e sfruttata. Sono due mondi che si incontrano per la salvaguardia dell’ambiente e il rispetto della natura. è per questo che in una drammaica scultura il Capricorno uccide il Cacciatore, ponendogli il piede sopra il petto, in segno di schiacciante e inequivocabile vittoria. La natura indomita, quando depredata e soffocata, si ribella, costringendo l'uomo ad assumersi le sue responsabilità e a riflettere sul suo destino. Il colore denso e acceso delle sculture evidenzia la gioiosa interpretazione naturalistica dell’artista, che vede nell’animale un compagno da amare e proteggere, libero di esistere nei boschi, nelle savane e nelle foreste del mondo.
Vera Agosti
Anni di sogni e visioni artistiche che si concretizzano in questa personale di Matteo Volpati: con le sue sculture egli è consapevole di trasmettere una reazione in chi le guarda, generando una riflssione sui diversi aspetti del reale. Le sue opere hanno una finalità etica, egli si eleva dal quotidiano sganciandosi dal superficiale, compiendo una metamorfosi del suo vedere.
Matteo Volpati muta la forma e la struttura dei soggetti rappresentati e unisce mondi di appartenenza diversi. Scegliendo di ritrarre questo processo, l’artista intende interrogarsi e presentarci questioni fondamentali, ad esempio la vita che si compie nella e con la natura, in quanto da sempre rappresentata e percepita come un mezzo di circolazione simbolica. In quanto artista, non risponde da un punto di vista scientifico, bensì opera nell’ambito della dimensione estetica: la dimensione, cioè, che ha dato origine alla creazione, anche mitologica, in cui le persone grazie alla metamorfosi si trasformano in animali e cose.
Sappiamo che la metamorfosi/trasfigurazione è una sfera simbolica fondamentale in quanto secondo il nostro sentire naturale il mondo ha un’origine comune e con una netta divisione tra le categorie animale, vegetale e minerale, mentre Matteo ci ricorda che la terra è un organismo unico e complesso in cui tutto è collegato. L’artista vede e ci mostra nelle sue opere animali e vegetali che si trasformano in corpi umani sottolineando la dimensione della trasformazione insita in noi stessi.
Egli ci libera dalla contaminazione del mondo contemporaneo sin dal livello più viscerale per mezzo di un rito catartico di rinascita. L’eterno fluttuare tra il dubbio filosofico e le certezze momentanee è affrontato attraverso trasfigurazioni
e sdoppiamento d’identità. In questa mostra Matteo Volpati ci riporta al pensiero e alla filosofia francescana con due opere molto significative “il Viandante e San Francesco nudo e senza saio”. Egli interpreta il mondo e la realtà al di là degli ostacoli presenti nella bellezza, riflesso della bellezza originaria, lavorando per convertire la mentalità della filosofia francescana, come risposta alla problematica della libertà in rapporto con la volontà e la ragione, vede il reale come “volitum” in contrapposizione alla visione del mondo come “effectum”, tipico del pensare francescano. Con le opere in mostra Matteo ci dimostra che le passioni sono lette non come ostacoli per raggiungere la verità, ma potenze, se vengono ben guidate verso
la sorgente della bellezza d’ogni creatura. Senza la “passione della ragione” non si arriva alla verità, e se si arriva, non la si riconosce, e quindi non la si ama. Le passioni sono inclinate alla bellezza. Per arrivare alla sorgente bisogna distinguere
la relatività della bellezza delle creature dalla bellezza del suo artefice. Questo è il compito della ragione che deve indirizzare le passioni verso l’Assoluto. Con le sue sculture Matteo cerca innanzitutto di liberare la liberta. Alla logica del dominio dell’uomo della scienza e della tecnologia, propone una logica diversa, con un’etica dell’attenzione efficace per l’altro, l’etica della solidarietà. Si tratta di ritornare alla semplicità dell’essere, principio di bellezza e di qualità divina.
Nello Taietti
curatore della mostra e
(Presidente della Fondazione Luciana Matalon)
Matteo Volpati, artista eclettico esponente della Wild Life Art italiana, mette in Arte il suo sentimento di disagio verso ciò che lo circonda, egli con la sua Arte suona dei campanelli d’allarme a cui l’uomo di intelletto dovrebbe inevitabilemente porre attenzione, riflettendo sulle derive della società contemporanea. L’artista Volpati, con le sue opere urla il suo monito all’uomo,
e gli evidenzia il possibile percorso salvifico, redentorio, e questo lo mette in atto affondando le radici della sua osservazione nella storia. Uomo che da millenni si confronta con le parti recondite della sua psiche, del suo inconscio, del suo io più profondo. Lui scaccia dal suo mondo tutto ciò che è considerato edonistico e consumistico, e si incarica di mettere in Arte questo auspicio
redentorio chiedendo all’uomo di reimpossersi della sua parte “Animalesca”, istintiva, primordiale, che secondo Lui suona di purezza e di annullamento dell’ego avido e calcolatore che è oppresso dagli stereotipi e dagli Staus. Volpati urla all’uomo contemporaneo, il “Ritorno alle Origini”. Vengono in mente le parole di Seneca che nelle sue lettere a Lucilio, consigliava al suo amico lontano “Ricordati Lucilio, l’Uomo se vuol ritrovare se stesso deve ritornare ai campi ed alla Natura”, ed è a questo “alto pensiero che il Volpati vuole anelare. La visione a cui si rivolge ricade sulla scultura Platonica e Rinascimentale, ma lo fa con l’atteggiamento pauperistico del riciclo della materia, che Lui assembla con il suo Stile Maschio, la materia abbandonata che diviene simbolo di una rinascita, una elevazione spirituale. Gli animali realizzati dal Volpati, consci della loro semplicità, accompagnano nell’aurea del loro senso di esistenza, puro ed etereo, il Santo. Essi attendono che qualcosa accada, osservano senza l’espressione di nessun giudizio, le possibili “metamorfosi” Umane.
Jcio Cipolla, creatore dell’avanguardia “Urluck”